Nessuno ama la sofferenza, né la cerca. È la sofferenza che trova noi. Ogni sofferenza è comunque tutt’altro che sterile. Può essere male che mina il fisico e le relazioni, ma anche terreno fecondo di bene.
Il segreto perché possa generare buone situazioni è nascosto nella Massima di padre Médaille (V,2) sulla pazienza. «Le sofferenze accettate bene sono come legna che serve per alimentare il fuoco dell’amore di Dio». Il che mi pare si possa tradurre: perché l’amore divino si riversi sull’umanità occorre non chiudersi sul male, bensì aprirsi nel dono.
Per il seguace di Cristo significa offrire la propria sofferenza perché l’umanità viva relazioni migliori. In concreto scegliere di essere protagonisti, se pure in una condizione di debolezza, nella realizzazione della volontà divina di giustizia e di pace.
Ma anche per un non credente la sofferenza acquista senso se è offerta, magari sotto forma di impegno socialmente responsabile o semplicemente come testimonianza di coraggio nel sopportare il dolore.