Ho vissuto un'esperienza indimenticabile: il mio soggiorno in Giappone. È stato positivo l’impatto con la cultura diversa dell'altro, senza pregiudizi. Mi sono sentita amata e considerata dal popolo giapponese.
Personalmente mi sono detta: “Anche loro sono miei fratelli e mie sorelle”. Con questa disposizione interiore, tutto è stato positivo. Una parentesi che mi ha aiutata a vivere felice e a cercare l'essenziale.
L’iniziativa è stata programmata dai responsabili dell'ONG che sostengono la scuola di Heiwa, in Congo, nella quale svolgo la mia missione. L’obiettivo era quello di conoscere la realtà scolastica in tutti i suoi aspetti. Infatti, dopo essermi documentata attraverso diversi incontri e interviste, ho presentato una relazione dettagliata sul funzionamento e l'evoluzione della scuola. Questo, per proiettarne il suo futuro a breve e lungo termine. I responsabili hanno richiesto che l’incontro si svolgesse in presenza, per avere più dettagli sul lavoro svolto.
Ho sperimentato la fatica concreta dell'interculturalità. Non sapevo come esprimermi, se in inglese o in giapponese. Così era anche per gli altri, perché non conoscevano il francese. Ma, insieme, abbiamo cercato di rimuovere tutte le barriere per riuscire a creare la conversazione. Tuttavia, la lingua ci ha creato problema. Però ho scaricato l’app di google translate e tutto è diventato più facile. Così ho potuto parlare direttamente in francese e le mie espressioni venivano tradotte in giapponese.
Un'avventura molto bella e ricca. Il valore del rispetto nei giapponesi è visibile. Come la perfezione in tutte le cose. Una visione ampia per il futuro. Serietà, onestà, rispetto del tempo, precisione nel lavoro sono aspetti evidenti nei giapponesi. A loro piacciono i particolari, quindi devi spiegare ogni cosa nel dettaglio.
Del convento delle Suore, Serve dello Spirito Santo, a Nagoya dove alloggiavo, conservo un ottimo ricordo. In particolare "l'accoglienza e l'attenzione". Sono stata accolta molto bene, considerata come una loro consorella della stessa congregazione. Il giorno del mio viaggio di ritorno nella Repubblica Democratica del Congo, sono uscite per accompagnarmi. Erano visibilmente commosse per la mia partenza. Una sorella anziana mi ha detto: «Rimani con noi, ci hai ridato vita!». L’ho salutata con qualche lacrima a motivo della separazione, ma dovevo pur partire per l’aeroporto di Narita Tokyo, avendo il volo alle 20.30.
Vivere l’interculturalità richiede una disposizione interiore per non soffrire e vedere sempre il negativo ovunque. Ho sperimentato la vita missionaria nell’aspetto della lingua che costituisce un problema per la comunicazione. Attualmente, l'inglese rimane la lingua internazionale in molti paesi. La difficoltà linguistica mi ha incoraggiata a fare uno sforzo per imparare l'inglese. Ho imparato alcune parole giapponesi come “arigato”=grazie; “konnichiwa”=buongiorno; “arigato gozaimashita”=buongiono, come stai? Anche i giapponesi me lo dicevano in italiano.
Ringrazio il Signore e le mie superiore. Madre Lucia Gallo e il suo Consiglio, suor Astrid Zenga, Delegata, e il suo Consiglio. In particolare, grazie a suor Gemma Gastaldi che, con il Consiglio uscente, mi ha autorizzata a partecipare all’iniziativa. Inoltre, sono molto grata al professor Aoyama Masahide, partner del complesso scolastico Heiwa, che mi ha invitata e ha compilato tutti i documenti richiesti dall'Ambasciata giapponese. Vorrei anche ringraziare padre Roger Munsi per la sua infaticabile dedizione a favore di questa mia esperienza. Che il Signore assista tutti.