Domenica 9 luglio abbiamo vissuto un momento di grazia presso l’ex-collegio Immacolata dove le suore Giuseppine avevano organizzato una giornata pre-capitolare aperta anche ai laici.
La mattinata è stata occupata dalla relazione di suor M. Cristina Gavazzi per introdurre il tema della interculturalità. Anche Gesù nato, cresciuto e formatosi in un contesto storico geografico di cultura ebraica, come uomo, imparò a superare gli schemi in cui il suo popolo era radicato. L’impianto della relazione poggiava sulla parabola del Samaritano. La relatrice ha sottolineato come il sacerdote e il levita avrebbero dovuto soccorrere il malcapitato in quanto appartenente al loro popolo; ma toccare il sangue li avrebbe resi impuri. I due scelgono di attenersi scrupolosamente alla legge e in questa scelta restano ingessati.
È invece un nemico tradizionale dei Giudei a prendersi cura del poveretto. Il fatto, forse successo realmente, costituì anche per Gesù un punto centrale del suo aprirsi a più ampi orizzonti. Altre tappe di questo cammino furono l’incontro con la donna siro fenicia che spiazzò il Maestro con le parole «Anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni» e il dialogo con il centurione, pagano e romano, che chiedeva la guarigione del suo servo. Dei due personaggi, entrambi non particolarmente amati dai Giudei, Gesù riconosce la grande fede. La strada era ormai aperta per il dialogo con il diverso ed ecco l’incontro con la samaritana al pozzo; qui è Gesù che per primo apre il dialogo.
Ed è proprio dal coraggio di stabilire relazioni anche con lo straniero, addirittura con il nemico, che emerge una verità: tutti siamo figli di Dio. Verità che i Padri del Concilio Vaticano II hanno ben sottolineato lasciando in eredità al mondo la frase rivoluzionaria sui semi buoni sparsi dallo Spirito in ogni religione.
Suor Cristina dalla parabola trae la conclusione che il cammino di Gesù deve essere anche il nostro. Con la sua esperienza il Maestro ha insegnato ad abolire le barriere culturali che tutti abbiamo. Superare i nostri etnocentrismi per guardare con benevolenza chi interseca la nostra strada è il percorso obbligato per costruire un’umanità nuova. È il modo per dare concretezza alle parole di Papa Francesco secondo cui o ci salviamo insieme o nessuno si salva.
Nell’attuale situazione accogliere, conoscere, aver cura sono azioni non più eludibili. L’interculturalità non riguarda solo culture lontane.
L’accoglienza si impone come una necessità imprescindibile anche tra persone appartenenti al nostro mondo. Sono le situazioni vissute nelle famiglie e nelle comunità che richiedono un cuore aperto, capace di comprendere. Etimologicamente questo verbo racchiude un messaggio bellissimo: prendere con sé i punti di vista, i gusti, i tempi dell’agire, … e naturalmente le gioie, le preoccupazioni, le sofferenze dell’altro. Vivere con questo stile inevitabilmente richiede di abbandonare qualcosa di sé per arricchirsi nella diversità.
Non allenarsi a tale modo di vivere significa rischiare le relazioni, talvolta imboccando vicoli ciechi nei quali tutti sono perdenti.