Ho sentito la novità di un’apertura che richiede un cambiamento di mentalità, nel tema dell’Ecologia di suor Mariaelena Aceti. La formazione tradizionale riguardo a scienza e fede non era in armonia.
I nuovi sudi e le nuove ricerche ci pongono di fronte alla visione dell’uomo non più al centro dell’universo, ma come un puntino nel cosmo, una piccolissima parte. Mi ha molto colpito l’affermazione di un autore che dice: «Anziché essere noi a curare la terra è la terra a curare noi». Un aspetto che già possiamo constatarlo, perché il danno che facciamo alle coltivazioni e al clima si ripercuote sull’uomo. La terra ha cura di noi e ci darebbe tutto quello che è necessario per vivere e stare bene, se noi sapessimo rispettarla.
Come il cieco di Gerico che chiede: «Fa’ che io veda di nuovo», anche noi dobbiamo imparare uno sguardo nuovo sull’universo, per coglierne l’interconnessione, l’essere un tutt’uno. Ma, per tornare a vedere di nuovo, occorre una cura spirituale. È Dio che scende a valle, non l’uomo che sale a Dio. C’è, però, il rischio di “vedere Dio in tutto” (panteismo). Occorre uno sguardo affinato e spirituale per cogliere la sua presenza incarnata nel cosmo.
Intuisco la grandezza e la bellezza di questo nuovo modo di vedere il cosmo intercollegato, ma è difficile svestirsi da una forma mentis che ci ha portato in senso parecchio contrario.
Mi piace concludere con la figura di S. Francesco d’Assisi che, già a suo tempo, è riuscito a sentire ogni creatura fratello e sorella, mentre noi non lo abbiamo ancora compreso.