È una splendida sera di gennaio. Mentre contemplo il cielo trapuntato di stelle lucenti, mi ritrovo a pensare. Se avessi per mano un bambino o una persona anche adulta dal cuore di fanciullo.
E non di rado mi succede. E se mi chiedesse chi ha acceso le stelle, cosa potrei rispondere? Il pensiero corre alle parole di un salmo che sovente preghiamo nella liturgia delle Lodi: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, / la luna e le stelle che tu hai fissato, / che cosa è l’uomo, perché te ne ricordi, /il figlio dell’uomo, perché te ne curi?».
Le stelle rischiarano le nostre notti con il loro brillio. Sono piccole luci, non invadenti, ma capaci di illuminare la strada e dare slancio al nostro cammino.
Quando la fatica si fa sentire, quando siamo tentati di fermarci, le stelle sono lassù per dirci: Non ti perderai nella notte. Non lasciarti vincere dallo scoraggiamento, pensando di essere solo e abbandonato da tutti. Quelle “dita”, in ogni attimo della tua vita, accendono una nuova stella in te. Non solo per te, ma anche per il tuo fratello, per la tua sorella che condividono il tuo cammino.
Quelle “dita”, che accendono ogni sera le stelle nel firmamento, seminano luci per rischiarare ogni angolo buio, per riscaldare cuori freddi e soli, ma non lo fanno senza di noi.
Quelle “dita” desiderano operare meraviglie con altre dita. Le tue, le mie, le nostre. Le dita di ogni uomo e di ogni donna, che camminano sulle strade del mondo.