È la seconda volta che sosto nella missione di Vila de Cava, dove operano le suore di San Giuseppe di Cuneo, per una parentesi di esperienza. Anche se è tutto conosciuto, è tutto nuovo e rinnovato.
Sento di condividere con voi la parola che più mi sembra di vivere in un contesto di missione.
Attesa.
Credo che, in un mondo frenetico come il nostro, è un termine ormai in disuso... Ma è questa la parola che può accompagnare lo sguardo silenzioso di chi si trova in missione. È l'attesa che permette di aprirsi alla realtà dell'altro. Forse perché dentro questa parola c’è una galassia: l'ascolto, l’osservazione, la riflessione, il dialogo tra sé e sé... È proprio quell’attesa che si trasforma e sostiene il dialogo con l’altro e con la realtà, con il mondo. L’attesa che, nella poetica e nella fede cristiana, spesso è celebrata come “vigilia”. Poi c'è l'attesa come ri-elaborazione dell’agito e l’attesa come elaborazione dell’azione o come riflessione sull’azione.
Quando rifletto sui vari atteggiamenti di chi viene in missione e anche sugli aspetti “irrinunciabili”, in realtà, in filigrana, sento sempre la parola attesa... Così come il termine “sospensione”, anche dei giudizi che possiamo dare agli altri.
Si attende e si vive questa attesa come processo di costruzione del “senso di umanità”. E l’umanità non si insegna né si impara... si trasmette. Sento che questa umanità, qui in Brasile, mi stia arrivando in maniera molto forte, con la sua ricchezza e, certo, anche con le sue fragilità.