A volte mi ritrovo a riflettere su un’esperienza che vivo nella preghiera, sia personale che comunitaria e liturgica. A quante parole pronunciate, in assemblea o in solitudine, corrisponde una adesione del cuore?
Quante di queste vengono proclamate con consapevolezza e senso di responsabilità? È una verifica a cui sento di dover ritornare sovente. Tuttavia, c’è una parolina che rischia più di tutte di essere pronunciata con fretta, superficialità, distrazione. È quella che conclude ogni preghiera di lode, di ringraziamento, di supplica, di intercessione e di professione di fede. È brevissima, di poche lettere, ma non è da sottovalutare.
Si tratta dell’espressione “Amen!”.
Il suo significato non si riduce ad indicare che la preghiera è terminata, ma va ben oltre. Ci dice il Catechismo della Chiesa cattolica che l’Amen è il nostro sì fiducioso e totale alle parole che abbiamo pronunciato o ascoltato, al loro contenuto, al loro messaggio di vita. Si tratta di messaggi, espressioni di fede, annunci di vita e di salvezza che ci coinvolgono come persone e come cristiani. Non possiamo rimanere “assenti” a tutto questo.
Ci sia dato di pregare con slancio e di vivere il nostro amen in questo tempo liturgico così significativo e carico di vita. Sia un aprire il cuore allo Spirito del Risorto. Spirito che infonde nuova fiducia nell’esperienza delle tenebre, del dolore, del silenzio di Dio. Possa esprimere la nostra certezza che, dalla Croce di Gesù, nasce la Vita. Siamo sicuri che, come abbiamo cantato nel tempo della Quaresima, “Ogni volta il suo corpo donato sarà la nostra speranza di vita”.
Questo avviene ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia, fonte e culmine della nostra fede. Qui pronunciamo una ventina di volte amen. È importante se diventa un assenso fiducioso della mente e del cuore a ciò che abbiamo espresso o ascoltato.
Per questo, in ogni istante, salga a Dio il nostro amen per la sua gloria.