Le avevano modificate circa quindici anni fa per evitare che i clochard bivaccassero nei giardini di giorno e di notte. I braccioli che impedivano di coricarsi dovevano servire a limitare il fenomeno.
Parliamo di 500 divisori montati sulle panchine posizionate in vari punti della città di Verona, esempio di architettura ostile che progetta soluzioni emarginanti. Ora, un po’ per volta, l’assessore all’arredo urbano ha deciso di farle tornare “normali”, restituendo il loro aspetto originario, la loro finalità.
È pur vero che non è assolutamente sufficiente rimuovere 500 braccioli e magari permettere a dei poveracci di dormirci sopra, in mancanza di altre soluzioni. È altresì vero che questa azione è segno di un pensiero che non vuole essere di castigo, di divieto, di esclusione. Per la Ronda della Carità di Verona, organizzazione di volontariato che si occupa degli ultimi, "la rimozione dei braccioli anti-bivacco è un gesto che ha un grande significato".
Viviamo in una nazione che ogni giorno si confronta con posizioni ufficiali tese a evitare l’ingresso di poveracci sul nostro territorio, senza alcuna valutazione delle motivazioni che stanno alla base dell’emigrazione. Il gesto, pur piccolo di Verona, sta a indicarci che si può partire dalle piccole cose per dimostrare quali siano le sfide del nostro tempo. Anzi, sta a indicarci non soltanto le sfide, ma la determinazione di agire in senso contrario all’emarginazione e all’ingiustizia.
Ben venga anche partire dalle panchine nei parchi per arrivare a discutere di accoglienza, di dignità, di diritti delle persone.