C’è un verbo caro all’antico Israele di cui abbiamo perso una parte importante del significato. È conoscere che rimandava non solo all’aspetto intellettivo, ma coinvolgeva l’intera fisicità del corpo.
In conoscere c’era tra l’altro il lasciarsi avviluppare dalle sue gioie e dalle sofferenze altrui. Per conoscere in questo senso è necessario un altro verbo: ascoltare. Anche di questo la vita troppo veloce di oggi ci ha fatto perdere un aspetto importante. L’ascolto non è completo se non coinvolge il cuore.
Lo sa bene papa Francesco che ha fatto dell’«ascolto con il cuore» il centro del suo Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali.
E poi c’è un terzo verbo presente nel vangelo di Giovanni: strappare. Apparentemente verbo duro nel suono, contiene in Giovanni un forte messaggio di speranza. Chi ascolta con il cuore e conosce accettando di essere preso dai problemi e dalle gioie del fratello non sarà mai strappato dal cuore di Dio.
Vivere questi tre verbi nel silenzio del quotidiano è realizzare la propria vocazione.
Mi piace leggere in questa ottica la Massima 1 di padre Médaille: «Abbiate sempre davanti agli occhi il fine della vostra vocazione che a mio parere è sublime, e non fate mai nulla che contraddica la professione di una vita intessuta di modestia, dolcezza e di santità».