Parlare di regole fa arricciare il naso. Tanto più oggi. Ci si sente in qualche modo privati di una fetta di libertà. Eppure le regole sono per la felicità, senza di esse non esisterebbe convivenza civile e quindi libertà.
Affrontare seriamente il problema equivale a camminare come un funambolo su una fune tesa. L’equilibrio è essenziale, ma sempre precario. Ciò è vero per tutti, soprattutto per chi ha autorità e le regole deve pensarle o farle rispettare. C’è però un metro di giudizio infallibile. È la regola primordiale da cui discendono tutte: tratta gli altri come vorresti essere trattato. Sotto la sua autorità tutti trovano accoglienza e luce che guida.
Per viverla ci vuole umiltà, coraggio, perseveranza. Umiltà per non atteggiarsi a Dio, cadendo nell’antico peccato. Coraggio per essere testimoni di un mondo in cui la gente cerca solo il bene. Perseveranza per costringersi a sempre ricominciare senza lasciarsi prostrare dal male che può sonnecchiare nell’animo o aggredire dal di fuori.
Un percorso faticoso, in equilibrio sempre precario, da santi quotidiani.
A questo invitano le parole di padre Médaille «Purificate il vostro cuore, sradicate tutte le cattive abitudini e vincetele coraggiosamente» (Massime di perfezione, II 1a).