«Non perdete mai di vista il fine sublime della vostra vocazione». Così padre Médaille apre Le Massime di perfezione per le anime che aspirano alla “grande virtù” (MP I,1). Queste parole mi danno il capogiro.
Innanzitutto mi piace allargare il significato di “vocazione”: libera, aperta e pubblica dichiarazione che sta all’inizio di una scelta di vita. Nel mio caso matrimoniale. Poi c’è quel “fine sublime”. Siamo soliti troppo spesso chiedere a Dio grazie per situazioni contingenti; ottime richieste perché senza la sua guida saremmo come ciechi. Ma la vera grazia è il sostegno per raggiungere il fine ultimo (sublime appunto) che è la santità.
Non credo che la santità sia una condizione di là da venire. Credo invece sia già nella quotidianità di ognuno. L’aiuto per viverla è una richiesta caratterizzata dalla reciprocità: una suora per le sue consorelle, un coniuge per l’altro.
C’è poi “la grande virtù”. Davvero verso di essa c’è un aspirare, perché è sempre un tendervi senza la pretesa d’esservi arrivati. E anche in questo sforzo l’aiuto reciproco è indispensabile, doveroso e confortante.