Lesly, Soleiny, Tien e Cristin sono quattro fratelli colombiani tra 13 ed 1 anno, sopravvissuti a quaranta giorni nella foresta. Muoiono i 3 adulti che erano con loro sull’aereo, compresa la loro mamma.
Per cercarli si sono mobilitati l’esercito e gruppi di indigeni, esperti conoscitori del luogo. Debilitati, stanchi, disidratati, smagriti, con punture di insetti e ferite ai piedi... ma salvi. Da dove le energie per sopravvivere, per scansare i pericoli in un ambiente selvaggio, popolato di insidie da cui difendersi? Sono indigeni, di etnia huitoto, educati e allevati da una nonna che nel trasmettere l’affetto ha fatto passare anche regole di sopravvivenza, antiche e tipiche nella tradizione del suo popolo. Fasciarsi i piedini con bende improvvisate per poter continuare a camminare, costruirsi ripari di fortuna per ripararsi dalle piogge e giacigli per dormire, magari anche altro … Chissà, forse allenati a non spaventarsi dell’imprevisto. Comunque modalità apprese nella loro piccola comunità indigena.
A volte capita di non considerare capaci coloro che non possiedono i nostri mezzi di conoscenza tecnica. Abbiamo tanti strumenti sofisticati, ma nella foresta sono serviti i pensieri e la saggezza della nonna.
I nostri bambini, mediamente, sono oggi troppo protetti, sottratti a qualsiasi minima fatica, poco abituati alle difficoltà e a destreggiarsi da soli. Forse dovremmo, noi adulti, cercare di aiutarli a orientarsi autonomamente nella porzione di mondo in cui viviamo. Almeno permettere che sviluppino le loro capacità, che attivino le loro risorse per affrontare l’imprevisto. Le hanno.