“Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi. Ciascuno con la ricchezza della sua fede e delle sue convinzioni.
Ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!”. Questo l’invito di papa Francesco, uomo di Dio, che si rivolge a tutti e a ciascuno. Non emergono mai distinzioni nei suoi appelli, sovente accorati e inascoltati. E ancora: “Prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi”.
Qualcuno ha descritto la pandemia come una guerra. Qualcun altro ha parlato di una comunità in cura. E la cura non è soltanto quella con i farmaci per i nostri corpi debilitati e fragili. Implica vedere oltre, vedere l’ambiente in cui viviamo, le nostre comunità. Forse anche vedere dentro di noi, negli angoli più scuri e dimenticati. Magari ci fa pure un po’ male. Visitare quei posti ci può aiutare a sentirci meglio e riappacificati. Solo così potremo pensare di sognare con altri, anche loro più leggeri e guariti.
“La pandemia ci ha restituito la verità della nostra fragilità e parzialità … La società della cura può sostituire all’obiettivo del potere e alla strategia dell’egemonia, l’obiettivo di farci retribuire in vita e possibilità di domani, e la strategia dell’impegno per noi stessi, gli altri e il territorio. Una nuova cornice di senso per politiche e pratiche, più ampia, inclusiva, democratica e capace di futuro”. Lo dice la giornalista Monica Di Sisto, esperta sui temi di giustizia economica e ambientale e di economia solidale, attivista.