È un dibattito antico come il cristianesimo. O forse come l’uomo. È uno scoglio su cui – non a caso – si confrontano (e a volte si scontrano) tutti gli innamorati. Fede e opere: un equlibrio non scontato.
Conta più il sentimento, il pensiero, l’intenzione profonda, oppure ciò che si fa, come ci si comporta, le regole che si rispettano? Anche Gesù affronta il tema, e ci mescola anche lo Spirito Santo, apparentemente a caso. Gesù concentra l’amore sull’osservanza dei “suoi” comandamenti. Discorso finito, si direbbe. Eppure no. Perché poi dice che se uno lo ama e osserva le sue parole, godrà della dimora, in lui, di Gesù e del Padre.
Quando due innamorati iniziano a vivere insieme, sono motivati soprattutto dall’amore. Eppure si metteranno d’accordo su chi fa la spesa, chi cucina, chi pulisce, chi si occupa dei conti, eccetera. Si potrebbe fare tutto insieme o decidere di volta in volta, ma non è pratico. La coppia, però, non è una società di amministrazione; idealmente, chi pulisce il bagno, lo fa non perché tocca a lui o lei, ma per amore. L’amore vero si fa concreto, pratico. E sa adattarsi alle situazioni nuove. Se uno è malato, l’altro non rinfaccerà: “Però toccava a te lavare i piatti”.
Ecco perché Gesù immagina un amore così concreto. Ma ecco anche perché è necessario lo Spirito: non si tratta infatti di ubbidire a regole astratte, uguali per sempre, ma di incarnare l’amore, che potrebbe pretendere, in situazioni diverse, norme diverse. Da qui l’importanza dell’aiuto dello Spirito, che ci insegni ogni cosa, suggerendoci come vivere concretamente l’amore di sempre in condizioni sempre nuove.
Perché Dio sogna sempre quello: non di essere ubbidito o riverito, ma amato.
Domenica di Pentecoste C ⇒Leggi il vangelo secondo Giovanni 14,15-16.23-26