Siamo forse abituati a sentire questa parola, a saperla. Ci sembra quasi che sia un "già visto", non ci stupisce più. Eppure... È una delle più ardite pretese del cristianesimo.
Ed è quella che probabilmente colpisce più direttamente non l'uomo di fede, qualunque sia la sua fede, ma proprio l'essere umano in quanto tale. Perché possiamo credere in qualcosa o essere cinici, ma tutti noi viviamo e, in fondo, anche quando la critichiamo, amiamo alla follia la nostra vita. E siamo tutti consapevoli che ci verrà tolta. La morte ci coglierà nel nostro ultimo giorno, ma continua a far sentire il suo fiato su di noi quando ci muoiono persone care, quando dobbiamo fare i conti con le nostre malattie, il nostro invecchiamento, il nostro limite, quando vediamo che ciò che abbiamo progettato e per cui ci siamo battuti sfiorisce e si esaurisce...
Ecco, la risurrezione ha il coraggio di dire che la morte non sarà l'ultima parola. Che al di là si dischiude un orizzonte, inspiegabile, che adempirà il nostro desiderio di vita. Non è dimostrabile, è simile a ciò che succede quando il nostro desiderio di amore si incontra con occhi che ci guardano e sorridono con tenerezza, e restiamo a chiederci se è vero o se la persona che abbiamo davanti non voglia in realtà solo approfittare della nostra ingenuità.
Anche noi restiamo affacciati sull'abisso: non sappiamo se questo annuncio, che risponde così in profondità al nostro desiderio, sia autentico e affidabile. Ma probabilmente sentiamo che, se fosse vero, sarebbe ciò che in profondità vogliamo. E garantirebbe senso e prospettiva a tutte le nostre fatiche, sofferenze, a tutte le piccole morti quotidiane che ci vengono inflitte. Perché la promessa è che il sepolcro resterà vuoto, per sempre. Alla fine, e quindi anche giorno dopo giorno.
Domenica di Risurrezione anno C ⇒Leggi il Vangelo secondo Luca 24,36-49