L'autore della lettera agli ebrei l'ha capito prima di noi: il cuore del vangelo della passione non è la morte di Gesù, nonostante la morte sia tragica per chiunque, soprattutto quando è prematura, violenta e ingiusta.
Ma il momento peggiore, più profondo, è prima, al Getsemani: «Offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a chi poteva liberarlo da morte... e da questo venne reso perfetto» (Eb 5,7-8). Gesù è solo, si sente più angosciato di quanto non sia lecito. Può sospettare che ci sia chi lo vuole morto, probabilmente glielo hanno anche detto, può subodorare che tra i dodici ci sia un traditore, ma nulla gli dice che quella sarà la sua ultima notte. Ha appena cenato con loro, si allontana a pregare da solo, in un luogo isolato, fuori dalla città santa, sulla strada verso Emmaus, dove probabilmente passavano la notte. Chiede il sostegno di tre discepoli, che si addormentano.
E prega il Padre, «Abbà». Che tace. «Passi via da me questo calice», il momento della decisione, delle scelte possibili (poi, dopo l'arresto, non potrà più fare nulla). Se Gesù è davvero il Figlio di Dio, fa bene a restare lì, a testimoniare con coerenza fino alla fine l'amore del Padre.
Ma se non fosse vero?
È la domanda più angosciante per ogni essere umano: "E se mi sbaglio?".
Gesù la conosce, l'ha vissuta, ci capisce. Si è fidato della volontà buona di un Padre che non sentiva. Per questo si alzerà dalla preghiera riconfortato, più leggero: "Basta, possiamo andare". Ha deciso di fidarsi, con fatica. Per questo è diventato perfetto, per questo può guidarci nelle strade della vita.
Domenica delle Palme anno B ⇒Leggi il vangelo secondo Marco 14,32-42