Il Battista è una persona indubbiamente particolare. Tanto particolare da aver affascinato e sedotto persino Gesù. E che cosa predicava? Un «battesimo di conversione». Cioè?
Che cosa sia la conversione, lo intuiamo. È la percezione di aver sbagliato, di dover riprendere un cammino in una direzione diversa, o di dover rettificare il cammino che si era un po’ allontanato dalla direzione giusta. È interessante che “peccato” in ebraico significhi “inciampo”. Quasi a dire che può succedere di cadere quando si cammina, ma è il meno. Il problema è quando si sta camminando in una direzione sbagliata: allora, è bene rettificare la rotta.
Ma gli ebrei sapevano che, dopo essersi “convertiti”, restavano tante scorie, al punto da aver bisogno di una “purificazione”, come chi cambi pelle e abbia bisogno di togliersi tutti i residui di quella passata. Per fare quello, la legge prevedeva di offrire sacrifici al tempio, secondo dei riti ben precisi.
Il Battista invita, invece, ad andare a farsi battezzare da lui. E chi era per pretendere qualcosa del genere? Che prove portava? Per i sacrifici al tempio, c’erano le scritture che rassicuravano e davano indicazioni precise, così da essere sicuri di “aver fatto tutto quello che era prescritto”. E qui? Come fare a capire di non essersi sbagliati, di aver fatto abbastanza?
Non c’è certezza. È questo che il Battista dice. Bisogna fidarsi. Di lui, di Dio, di noi stessi. Bisogna mettersi in gioco, “scommettendo”, riconoscendo che Dio deve davvero essere fatto così, fatto di coinvolgimento, di cambiamento, di fiducia. Da una presentazione simile di Dio, Gesù viene affascinato. Scomoda, ma viva. E noi? Andremo al tempio, nella sicurezza delle leggi, o al Giordano?
II Domenica di Avvento C ⇒Leggi il Vangelo secondo Luca 3,1-6