Luca ci racconta che a un gruppo di pastori, di notte, compaiono degli angeli che dicono parole difficili da capire. «Gloria a Dio nell’alto dei cieli». Che cosa significa “gloria”?
Noi glorifichiamo qualcuno, ci sembra, quando lo lodiamo sperticatamente, senza equilibrio. In realtà la parola “gloria” è un tentativo di rendere l’ebraico “peso”. Anche noi diciamo che qualcuno è persona di peso se la riteniamo importante, significativa. E parliamo anche del “giusto peso” da dare a elementi o situazioni.
La “gloria” è qualcosa del genere. Quando, nell’antichità, si immaginava che un popolo soffrisse sofferenza per colpa di qualcuno e si cercava chi fosse questo qualcuno tirando a sorte, lo si invitava a «dare gloria a Dio confessando la colpa»: Dio ha indicato te come colpevole, se ci spieghi perché lo sei, possiamo ammettere che è capace di vedere nel segreto.
La “gloria di Dio”, insomma, è Dio che si mostra per quello che è: la gloria di un cuoco è nel piatto che è stato capace di preparare, di uno sportivo nel suo record, di una madre nell’autonomia di suo figlio.
In più, nel grido degli angeli si invoca la gloria di Dio “nei cieli”, ossia, dove Dio non deve più subire compromessi, non deve scendere a patti con i condizionamenti della storia, può esprimersi appieno per chi lui è.
E che cosa farà, Dio, per mostrare chi è davvero senza più condizionamenti? Ecco la sorpresa dell’annuncio agli angeli: fa pace con gli uomini. Con tutti gli uomini, indipendentemente se siano innocenti o colpevoli, puri o immondi, nobili o servi, maschi o femmine...
Se si vuole vedere il volto di Dio, la sua gloria, non c’è niente di meglio della pace che sa ricercare con gli uomini... Non abbiamo davanti un Dio giudice, ma chi vuole vivere con noi, perché viviamo bene.
Natale del Signore ⇒Si può leggere il vangelo secondo Luca, capitolo 2, versetti dall'1 al 14