Non siamo più abituati a fare i conti con i nobili, per fortuna. L’idea della nobiltà è che qualcuno valga di più in virtù della famiglia da cui è nato. Anche noi oggi, peraltro, abbiamo qualcosa del genere.
Sovente coincide con l’idea della ricchezza: chi è di famiglia ricca, ha spesso la strada davanti a sé più agevole. Contro a questa logica, c’è stato nella storia chi diceva che occorresse abbattere i nobili, i ricchi.
Le parole del Battista escono da questa logica e ci invitano (in toni duri, come suo solito!) a seguire una dinamica diversa. “Abbiamo Abramo come padre” potrebbe essere l’affermazione ebraica che sostiene che noi, in quanto dalla parte giusta della storia, della famiglia giusta, dell’origine giusta, siamo già a posto. Non abbiamo bisogno di impegnarci, siamo serenamente con i piedi al caldo.
Dimenticatevi questa idea, ci dice il Battista. Scordatevi che basti essere di famiglia religiosa per essere graditi a Dio, o che sia sufficiente andare a messa la domenica.
Se da una parte questa affermazione è dura, pesante e faticosa, dall’altra ci libera. Conta ciò che facciamo ora, conta l’intenzione che mettiamo in campo adesso per dire qualcosa sulla possibilità di incontrare Dio, di essere a lui graditi. Che noi siamo nobili o plebei, poveri o ricchi. Non il nostro pedigree, ma il nostro intimo, che lui conosce.
II Domenica di Avvento A ⇒Leggi il vangelo secondo Matteo 3,1-12