Durante la passione Gesù viene schernito, umiliato, vestito di un abito di porpora e incoronato di spine per prendere in giro il suo accettare di essere pensato come re dei Giudei.
Per tanto tempo i cristiani hanno pensato che a essere significativa fosse soprattutto la quantità di sofferenza e dolore patita da Gesù. È poi divenuto più chiaro che la sofferenza subita dipende dalla cattiveria altrui. Ma quello che è in mano nostra è il modo di viverla. Gesù non cerca la sofferenza, e finché può la evita. Nella tragica notte del Getsemani, ha però capito che sottrarsi ancora alle conseguenze delle sue scelte avrebbe voluto dire suggerire che si sarebbe potuto sacrificare solo fino a un certo punto, finché non avesse corso troppi rischi... e questo non è da Dio! E quindi Gesù non scappa.
Conta però come vive le ore che seguono. Ha previsto il rinnegamento di Pietro, e non ne ha tratto motivo per umiliarlo; ha intuito il tradimento di Giuda, e non l’ha scacciato dall’ultima cena; accoglie con nobiltà gli scherni che lo fanno re finto, invece di urlare che è davvero re. Attraversa la scena sempre pronto a riallacciare legami e relazioni.
Fallimenti, sfortune, sofferenze, malattie... non decidiamo niente di tutto questo. Il nostro campo si apre soltanto subito dopo. Possiamo vivere tutto ciò senza cercare un colpevole, senza rabbia. Come l’ha vissuto Gesù, nostro apripista e nostro compagno di viaggio, uomo autentico che ci mostra anche il nostro destino, se vivremo la sofferenza e la tragedia nella fiducia di non essere da soli. Lui ci conosce.
Domenica delle Palme anno A ⇒Si potrebbe leggere il vangelo secondo Matteo 26,14-27,66 ⇒ma soprattutto 26,30-41