Lo sappiamo, chi muore in genere, dice anche la saggezza popolare, è sempre buono. Un po’ perché con la morte siamo chiamati a fare i conti in modo serio, smettendo le polemiche superficiali.
Andando a ciò che è più profondo e autentico (anche qui, gli antichi romani avevano inventato un modo di dire che vale per tanti: “parce sepultis”, ossia “a chi è morto si perdona, non si mantiene ostilità con i defunti”). Ma un po’ anche perché i morti non ci contestano più. Posso prenderne ciò che mi serve di più, posso dire che in fondo la pensava come me, e se qualcuno mi contesta posso sempre rispondere che è la sua interpretazione contro la mia.
Nel caso di Gesù qualcosa non funziona. Persino i suoi discepoli lo cercano dove non è, sbagliano a mirare. «Cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui, è risorto». Il che significa che continuerà a spiazzarli, a sorprendere anche i suoi. Non si lascerà incasellare.
E tra le tante cose che a questo punto dirà, una è netta: la morte non è l’ultima parola. Quindi non si può lasciar vincere il pessimismo, la rassegnazione, il “abbiamo fatto sempre così”. Vince la vita, vince trovare soluzioni nuove a problemi nuovi e persino vecchi, vince l’ottimismo di un bambino pronto a provarci ancora una volta, convinto che potrebbe essere quella buona.
“Andate a cercarlo, siate pronti a lasciarvi stupire, e lo troverete”.
Domenica di Pasqua A ⇒Si può rileggere vangelo secondo Giovanni 20,1-9